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Come affrontare le difficoltà del mantenimento dei figli all’epoca del Coronavirus

La difficoltà di adempiere alle obbligazioni assunte precedentemente all’emergenza sanitaria Covid-19 ha toccato chiunque si sia trovato impossibilitato a produrre reddito a causa del Lockdown imposto dal Governo.

 

Tuttavia, se nel campo delle obbligazioni contrattuali è invocabile l’esimente di responsabilità del debitore prevista dall’art. 91 del Decreto Cura Italia per il ritardato o mancato adempimento, la stessa cosa non risulta essere così scontata ed automatica quando si tratti di obbligazioni derivanti dai doveri genitoriali, prima fra tutte quella del mantenimento dei figli.

Infatti, il diritto dei figli di essere mantenuti dai propri genitori è un diritto personale, indisponibile e costituzionalmente garantito


entrambi i genitori hanno l’obbligo di provvedervi, in proporzione alle rispettive sostante ed alla loro capacità lavorativa.

 

In buona sostanza, non è permesso al genitore auto-ridursi o decidere autonomamente di sospendere il mantenimento dei propri figli.


Le conseguenze in caso di inadempimento hanno natura civile e penale.

 

E allora come deve comportarsi un genitore investito incolpevolmente da una crisi di liquidità, totalmente inaspettata, generata dalla chiusura obbligata della propria attività imposta dal Governo?

 

Nella situazione attuale, è innegabile che la mancata produzione di reddito, non imputabile al soggetto obbligato al mantenimento, potrà configurarsi come un’impossibilità sopravvenuta della prestazione per una causa di forza maggiore.

 

Ciò potrà certamente legittimare la domanda giudiziale di riduzione dell’importo dell’assegno.
Ricordiamo infatti che l’importo del mantenimento viene stabilito dal Giudice sulla base dei paramenti reddituali e patrimoniali dei genitori e che, come tutti i provvedimenti in materia di famiglia, tale decisione del Tribunale, mantiene il suo fondamento rebus sic stantibus (ovvero stando così le cose).

 

Che significa?


Che, in ogni momento, se cambiano le condizioni di fatto che giustificavano una determinata decisione, potrà chiedersi al Tribunale una modifica del provvedimento precedentemente assunto.

 

Dunque, il genitore obbligato al versamento dell’assegno, che si trovi impossibilitato ad adempiervi, potrà adire il Tribunale presentando un ricorso ai sensi dell’art. 710 cpc per la modifica dei provvedimenti precedenti, chiedendo una riduzione dell’importo dovuto.

 

Certo è che, nel momento attuale, questa non appare essere la tutela più celere e risolutiva, essendo soggetta alla tempistica processuale, oggi ancor più rallentata proprio dalle difficolta generate dall’emergenza sanitaria e dalla attuale sospensione di tutte le udienze non indifferibili.

É quindi auspicabile che i professionisti che assistono le coppie in questo momento di difficoltà lavorino per promuovere una soluzione diversa da quella giudiziale.

 

Se il livello di conflittualità delle parti lo permette, lo strumento più efficace da utilizzare in questo momento è quello della Negoziazione Assistita, una procedura di ADR (Alternative Dispute Resolution) che permette di formalizzare l’accordo di modifica delle condizioni, senza la necessità di attendere i tempi processuali, ma esclusivamente mediante una negoziazione tra le parti, assistite dai rispettivi avvocati che hanno il compito di accertare che l’accordo non violi diritti indisponibili e che non sia contrario a norme imperative e di ordine pubblico.

 

L’accordo così formato verrà consegnato al Pubblico Ministero per l’apposizione dell’autorizzazione, dunque senza necessità di celebrazione dell’udienza.

 

Anche in questo caso, l’importo del mantenimento modificato, con procedura giudiziale o mediante negoziazione assistita, varrà rebus sic stantibus. Ciò significa che cessata l’emergenza, se venisse ripristinata la precedente condizione economica delle parti, l’importo del mantenimento potrà essere di nuovo modificato, consensualmente oppure giudizialmente.

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MANTENIMENTO dei figli maggiorenni

Con una recente sentenza (n. 19696/2019), la Cassazione torna sulla questione del mantenimento dei figli maggiorenni, statuendo su due rilevanti profili:

  • la ripartizione dell’onere probatorio sulla capacità lavorativa del figlio maggiorenne;
  • l’esclusione di una “reviviscenza” dell’obbligo del genitore al mantenimento.

 

La sentenza della Corte di Appello (CdA Napoli 542/2017), cassata dagli Ermellini, aveva riconosciuto il diritto al mantenimento in favore di due ragazzi ultratrentenni con la motivazione che il genitore obbligato non aveva fornito la prova dell’effettiva e stabile autosufficienza e/o della responsabilità dei figli per la mancata acquisizione di un’occupazione che li rendesse indipendenti.


Premette la Corte di Cassazione che “l’obbligo del mantenimento dei genitori consiste nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente”.


Proseguono i giudici di palazzaccio ritenendo, tuttavia, non condivisibile la linea interpretativa della CdA di Napoli e fornendo importanti precisazioni in tema di ripartizione dell’onere probatorio.
Stabilisce infatti la Corte che:

 

“La prova del raggiungimento di un sufficiente grado di capacità lavorativa è ricavabile anche in via presuntiva dalla formazione acquisita e dalla esistenza di un mercato del lavoro in cui essa sia spendibile.
La prova contraria non può che gravare sul figlio maggiorenne che, pur avendo completato il proprio percorso formativo, non riesca ad ottenere, per fattori estranei alla sua responsabilità, una sufficiente remunerazione della propria capacità lavorativa”.

 

Non solo, anche nel caso in cui il figlio riuscisse a fornire tale prova, andranno comunque valutati altri fattori:

 

“La distanza temporale dal completamento della formazione, l’età raggiunta ovvero gli altri fattori e circostanze che incidano comunque sul tenore di vita del figlio maggiorenne e che di fatto lo rendano non più dipendente dal contributo proveniente dai genitori”.

 

Il secondo profilo rilevante affrontato nella sentenza riguarda l’esclusione della reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.


Nel caso di specie, infatti, uno dei due figli, dopo avere lavorato per due anni, aveva poi percepito solo redditi eccessivamente modesti o inesistenti.


La Corte ha statuito sul punto precisando che “la percezione di una retribuzione sia pure modesta ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti segnala fine dell’obbligo di contribuzione da parte del genitore e la successiva eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento”.

 

Nel caso in esame, la Corte territoriale neppure ha adeguatamente valutato una serie di ulteriori e rilevanti circostanze quali “l’effettività o meno della convivenza dei figli con la madre, l’età ormai ampiamente superiore ai trent’anni di entrambi i figli, il tenore di vita di cui dispongono”.

 

Su tali circostanze si sarebbe, invece, dovuto attivare l’onere probatorio gravante sui soggetti richiedenti il contributo al mantenimento.