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Analisi e riflessioni sull’affido condiviso dei figli con frequentazione paritaria dei genitori

Parlare di affido condiviso significa riflettere responsabilmente, abbandonando posizioni aprioristiche, sul significato del diritto dei figli alla bigenitorialità e sull’importanza di entrambe le figure genitoriali nella crescita sana ed equilibrata dei figli.

 

Quanti ritengono tradita dai Tribunali la riforma dell’affido condiviso, muovono principalmente dalla critica alla creazione giurisprudenziale della figura del cd. genitore collocatario, cioè del genitore principale, attivamente coinvolto nei compiti di cura e educazione della prole,cherelegherebbe l’altro genitore, il cd. non collocatario, a genitore marginale, privato della possibilità di partecipare effettivamente alla quotidianità dei figli.

 

Nel nostro sistema giudiziario, il genitore non collocatario è, nella maggioranza dei casi, il padre, sia per una sorta di “pregiudizio” sui ruoli genitoriali che ha portato i giudici ad affermare una Maternal Preference”, sulla base della quale sarebbe sempre da preferire il collocamento prevalentedei figli presso la madre, finanche nei casi di accertata pari adeguatezza delle competenze genitoriali paterne; sia per ragioni socio-economiche poiché ancora oggi l’uomo è spesso il maggiore percettore di reddito della famiglia, più occupato in termini di orario di lavoro e, dunque, quantitativamente meno disponibile a potersi prendere cura dei figli.

 

Quanti teorizzano che il diritto alla bigenitorialità si possa garantire anche prescindendo dalla pariteticità dei tempi di frequentazione, hanno giustificato la necessità della figura del genitore collocatario sostenendo: il pregiudizio derivante da un distacco temporalmente rilevante dalla figuramaterna per i bambini in tenera età; il pregiudizio derivante dai continui spostamenti tra una casa e l’altra dei genitori; l’impraticabilità di parità di tempi di frequentazione nei casi di elevata conflittualità tra i genitori.

 

Su tali opinioni si è indubbiamente andato a standardizzare il tenore dei provvedimenti giudiziari, nei quali, a fronte dell’affido condiviso sempre “nominalmente” disposto in via preferenziale ex art 337 ter cc, è stato inserito il collocamento prevalente presso un genitore (solitamente la madre) e il diritto di visita dell’altro genitore, limitato a 1-2 pomeriggi infrasettimanali, con eventuali week end alternatisolo nei casi di bambini non troppo piccoli.

 

A fronte dell’eccessivo automatismo che tale impostazione aveva raggiunto, sempre più numerose sono state le istanze di verso diametralmente opposto, volte a far riconoscere che l’affido condiviso possa applicarsi compiutamente solo tramite l’abolizione della figura del genitore collocatario e che, di conseguenza, la parità dei tempi di permanenza dei figli presso entrambi i genitori costituisca corollario irrinunciabile della legge sull’affido condiviso.

 

Tali convinzioni hanno portato fino al noto recente tentativo di riforma (DDL Pillon) con cui, nel tentativo di superare gli aprioristici automatismi che avevano preso piede nei nostri Tribunali, si rischiava di cristallizzare altrettanto pericolosi automatismi di senso opposto.

 

A parere di chi scrive, il sancito diritto alla bigenitorialità non può essere ingabbiato in alcuna modalità applicativa precostituita, stante la diversità di ciascun caso concreto.

 

L’unico faro per il legislatore, il giudice, i professionisti che operano nell’ambito familiare ed i genitori, dovrebbe essere il – tanto invocato – interesse del figlio che però andrebbe valutato, non sulla base di opinioni, sensazioni, affermazioni ideologiche, ma:

  • in primis sulla base di evidenze scientifiche;
  • poi sulla scorta della peculiarità di ciascuna situazione concreta.

 

Le evidenze scientifiche che fondano la bontà dell’affido materialmente condiviso con equipollenti tempi di permanenza, sono state poste alla base di recenti pronunce giudiziali nonché di Linee Guida, Protocolli e Piani Genitoriali che via via stanno adottando alcuni Tribunali, ancorandosi anche alle indicazioni provenienti dall’UE e dalle Convenzioni internazionali, a cui l’Italia ha aderito.

 

La letteratura scientifica invocata dalla recente giurisprudenza è principalmente racchiusa in 74 studi comparativi, nei quali sono stati esaminati centinaia di migliaia di casi, da cui risultano dimostrati: i danni che i minori subiscono per effetto della marginale frequentazione di uno dei due genitori e la superiorità del modello realmente, e non solo nominalmente, bigenitoriale.

 

I rischi riscontrati nelle situazioni di rilevante sperequata frequentazione sarebbero: la perdita del legame con la prole; l’aumento della conflittualità tra genitori, alimentata dalla logica del “win or lose”, che integrerebbero peraltro delle potenti “childhood adversity” in grado di causare addirittura importanti danni organici nei bambini a distanza di alcuni anni.

 

Di contro è diffusa in letteratura l’empirica convinzione che i minori che vivono in affido materialmente condiviso, godano in media di un miglior benessere psico–fisico rispetto a coloroche vivono in condizioni di monogenitorialità.

 

Tali benefici sulla prole sarebbero stati riscontrati tanto nelle coppie conflittuali che non conflittuali e ciò smentirebbe la convinzione che tale tipologia di affidamento possa attuarsi solonelle coppie non conflittuali.

 

Ulteriore convinzione smentita dagli studi scientifici è quella dell’impraticabilità dell’affido paritario per i bambini sotto i 3 anni di età. Tutti gli studi internazionali, sembrerebberoconfermare che non v’è alcuna evidenza della necessità di ritardare l’introduzione di un frequente e regolare coinvolgimento di ambedue i genitori coi propri figli e che, anzi, il pernottamento di bambini e neonati presso il papà, anche paritario, sarebbe correlato a migliori relazioni del bambino con entrambi i genitori.

 

Inoltre, considerato che il genitore “marginale” di solito è il padre, vale la pena ricordare come sia pacifica in letteratura l’essenzialità del ruolo paterno per il sano sviluppo del figlio e come siano altrettanto pacifici i danni che discendono dalla privazione di tale figura genitoriale. Il padre infatti svolge funzioni fondamentali a partire dal primo periodo post-natale, in quanto il suo ruolo è determinante per la cd fase “di individuazione e separazione” del bambino (che ha luogo tra il 4° mese e i 3 anni di vita), prodromica e necessaria per un adeguato sviluppo della sua personalità a livello relazionale, sociale ed emotivo.

 

Lo stile di attaccamento con la figura paterna è dunque importante tanto quanto quello con la figura materna ed è intuibile che un tempo troppo esiguo insieme al padre potrebbe ostacolare lo sviluppo di un attaccamento sicuro nei suoi confronti, compromettendo così il sano sviluppo del bambino.

Inoltre, gli studi di alcuni autori sugli effetti della deprivazione paterna sui minori hanno evidenziato come il livello di accudimento con cui un genitore si occupa del figlio è direttamente correlato al grado di realizzazione esistenziale del figlio stesso.

Tale concetto è ben espresso dalle parole della psicologa D. Thompson:

 

La guerra contro il padre è in realtà una guerra contro i figli; il punto non è semplicemente il diritto dei padri o il diritto delle madri, ma il diritto dei figli di avere due genitori che si occupino attivamente della loro vita.

 

È stato osservato come ciò sia tanto più decisivo per i bambini piccoli, proprio per permettere che si crei, e poi si mantenga, una solida relazione padre-figlio; a tal fine, invece di ostacolare l’impegno dei padri nei confronti dei loro figli, si dovrebbe incoraggiarli a essere presenti attivamente e personalmente nella loro vita.

 

Nel 2011, l’OdP confermava tale evidenza affermando la fondamentale importanza per la salute dei minori di ricevere cure ed accudimento nella quotidianità da parte di entrambi i genitori per favorire nel figlio la consapevolezza che entrambi provvedano ai suoi bisogni. Precisava l’Odp, supportato da studi scientifici sulla shared residence, che l’interesse del minore consiste non tanto nella stabilità logistica della collocazione, quanto nella possibilità di godere flessibilmente nella quotidianità della presenza responsabile di entrambi i genitori, evidenziando altresì che il coinvolgimento paterno – inteso come tempi di coabitazione, impegno e responsabilità – abbia influenze positive sullo sviluppo della prole, migliorando lo sviluppo cognitivo dei figli e diminuendo i problemi di ordine psicologico e comportamentali dei minori.

 

Tutte le citate evidenze scientifiche ci confortano nell’affermare che l’interesse del minore sia molto ben garantito dal modello di affido materialmente condiviso, sin dalla più tenera età ed a prescindere dal grado di conflittualità della coppia genitoriale.

 

Ciò non toglie che si debba poi tenere conto delle più disparate fattispecie concrete e dunque è ragionevole che, come ha ritenuto recentemente il Tribunale di Catanzaro,

 

La suddivisione paritetica dei tempi di permanenza sia sempre da preferire laddove ve ne siano le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto.

 

Escludendo quindi ovviamente tutti i casi di violenza, i tempi di permanenza andrebbero anche stabiliti tenendo conto delle specifiche esigenze di ogni famiglia, es: distanza tra le abitazioni, allattamento, impegni lavorativi dei genitori, impegni dei figli ecc.

 

Appare evidente come la Mediazione Familiare possa essere il canale preferenziale per favorire l’applicazione e la buona riuscita di un consapevole affido condiviso. Non a caso, infatti, la Mediazione Familiare era stata prevista nella l. 54/2006, seppur in misura più timida rispetto a quelle sembravano essere le iniziali intenzioni del legislatore.

 

Il Mediatore Familiare possiede gli strumenti per aiutare i genitori a riconoscere l’importanza dei reciproci ruoli, al fine di permettere loro di convergere volontariamente sull’interesse dei figli ad una reale bigenitorialità.

 

A ciò si aggiunga l’enorme valore aggiunto, tipico della Mediazione Familiare, e cioè quello di permettere alle parti la redazione di un accordo su misura, negoziato direttamente da loro.

 

È evidente che tale accordo, raggiunto dai genitori dopo aver condiviso l’obiettivo di garantire l’interesse dei figli alla bigenitorialità, non potrà che risultare davvero orientato alla conservazione di una significativa e stabile relazione dei figli con entrambi i genitori, mediante l’individuazione di soluzioni concrete, volte a favorire pari opportunità di frequentazione.

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Non è illegittimo il divieto di procreazione per le coppie omosessuali

La Corte Costituzionale deposita le motivazioni della Sentenza N. 221 del 18 giugno 2019 con cui aveva confermato il divieto di procreazione per le coppie gay.

 

Per i giudici della Consulta non esiste un diritto a procreare in quanto

 

“La tutela della salute non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia, o anche un individuo, reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l’evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione”

 

La Consulta spiega che

 

“Non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato”.

 

E, pur dando atto delle recenti evoluzioni giurisprudenziali sui temi dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali ed escludendo che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore possa fondarsi esclusivamente sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner, afferma che esiste

 

Una differenza essenziale tra l’adozione e la procreazione medicalmente assistita

 

Poichè l’adozione “presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo” .

 

Mentre la procreazione assistita

 

“Serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole – come si è detto – che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”.

Invero, afferma la Consulta

 

“L’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato, non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali”.

 

Nell’esigere, in particolare, per l’accesso alla PMA, la diversità di sesso dei componenti della coppia – condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia – il legislatore ha tenuto conto, d’altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cosiddetta “omogenitorialità” nell’ambito della comunità sociale, ritenendo che, all’epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto.

 

Dichiarate dunque non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Pordenone e Bolzano sulla legge 40/2004.

 

Le pratiche di procreazione medicalmente assistita restano quindi consentite alle sole “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi

 

Sentenza N. 221, Anno 2019

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TOP NEWS PER LA FAMIGLIA – OTTOBRE 2019

PACCHETTO FAMIGLIA 2020 nel disegno di legge di bilancio approvato «salvo intese» dal Consiglio dei Ministri.

 

  • Bonus bebè: aumentato l’assegno mensile per tutti i nuovi nati (o adottati)nel 2020 : ammonterà a  80 euro (per le famiglie con ISEE superiore a 40mila euro), 120 euro  (per le famiglie con con ISEE da 7mila a 40mila euro) o 160 euro (per le famiglie con ISEE fino a 7mila euro). Slitta invece al 2021 l’Assegno Unico Universale per i figli fino al 26esimo anno di età , nel quale dovrebbero essere inglobati tutti gli attuali bonus dedicati alla natalità.
  • Bonus asili nido: contributo fino a 250 euro/mese (3.000 euro annui) per le rette degli asili nido dei bambini da 0 a 3 anni. Gli importi del contributo saranno determinati in base alla fascia della dichiarazione Isee della famiglia: 1.500 euro con ISEE superiore a 40mila euro; 2.500 euro con ISEE tra 25mila e 40mila euro; 3.000 euro con ISEE sotto ai 25mila.
  • Bonus mamma domani: confermato per il 2020 nella misura attuale di euro 800 per ogni nuovo nato. Nel 2021 Il contributo non sarà più previsto a seguito dell’entrata in vigore dell’assegno unico universale che ingloberà gli attuali contributi per la natalità.
  • Congedo di paternità: esteso a 7 giorni rispetto agli attuali 5. La richiesta dell’Ue sul punto è che gli stati membri si allineino ad un minimo di 10 giorni.
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L’ASSEGNAZIONE della casa coniugale

La casa coniugale rappresenta uno dei principali motivi di conflitto nelle controversie di separazione e divorzio, sia per ragioni di natura affettiva, che per motivi economici.

 

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale può essere emesso dal Tribunale solo in presenza di figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente.

 

Indubbiamente, il suddetto provvedimento di assegnazione comporta un deterioramento della condizione economica del coniuge non assegnatario, che spesso si deve allontanare dalla casa coniugale anche ove ne sia il proprietario esclusivo, magari ancora gravato del relativo mutuo da pagare.

 

Questo accade perché il criterio che governa la decisione sull’assegnazione della casa familiare è – esclusivamente – la tutela del primario interesse dei figli che hanno il diritto alla conservazione dell’ambiente domestico in cui hanno vissuto e dove hanno i loro punti di riferimento.

 

L’art. 337 sexies comma 1 del Codice Civile prevede infatti espressamente che:

 

“il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.

 

Per quanto detto, quindi, è evidente che la casa familiare verrà assegnata al genitore con il quale la prole convivrà prevalentemente, ovvero il cd. genitore collocatario.

 

La prioritaria tutela della prole riguarda tanto i figli minorenni, quanto i figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti che convivano stabilmente e continuativamente nella casa familiare ed a cui non sia attribuibile la colpa della propria mancata autosufficienza.

 

La decisione sull’assegnazione della casa coniugale prescinde dunque:

  • sia dal titolo di proprietà dell’abitazione;
  • sia dalla situazione economica dei coniugi, in quanto essa non costituisce una componente dell’eventuale assegno di mantenimento, o divorzile, dovuto al coniuge economicamente più debole.

 

È ovvio però che, nel caso in cui la casa venga assegnata al coniuge prevalentemente convivente con la prole, il quale sia anche destinatario di un assegno di mantenimento o divorzile, il giudice – nella quantificazione dell’assegno al coniuge – terrà certamente conto della disponibilità dell’abitazione familiare, avendo essa indubbi riflessi economici nel nuovo assetto complessivo della famiglia separata.

 

In virtù del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, il coniuge assegnatario che non sia anche titolare di un diritto di proprietà o di godimento sulla stessa, acquisirà un diritto personale di godimento sull’abitazione e non un diritto reale (Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4719).

 

Ne consegue che il proprietario dell’immobile resterà obbligato al pagamento delle tasse sulla proprietà della casa, delle spese straordinarie afferenti l’immobile e delle eventuali rate di mutuo, mentre resteranno a carico del coniuge assegnatario non proprietario gli oneri condominiali ordinari e tutte le spese di manutenzione ordinaria nell’immobile.

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CODICE ROSSO: legge contro la violenza domestica e di genere

Il Parlamento ha approvato il Codice Rosso, la legge contro la violenza sulle donne. Tempi più rapidi per il processo, pene più dure e soprattutto introduzione di nuovi reati: il revenge porn e le lesioni permanenti al voto.

 

Sulla G.U. del 25 luglio 2019 è stata pubblicata la Legge 19 luglio 2019, n. 69 denominata “Codice Rosso”, in vigore dal 9 agosto.

 

Il Codice è stato concepito come canale preferenziale per offrire tutele in tempi brevi alle vittime di violenza, donne e minori in particolare, favorendo un celere avvio del procedimento penale per alcuni reati tra cui maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale.

 

Si compone di 21 articoli che:

 

  • Individuano una serie di condotte attraverso cui si pone in essere la violenza domestica e di genere introducendo nuove fattispecie di reato.
  • Inaspriscono le pene già previste dal codice penale per alcuni reati, aumentano la durata delle misure cautelari, inaspriscono le aggravanti.

 

PRINCIPALI NOVITÀ

4 NUOVI REATI:

 

  • Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate c.d. revenge porn (art 612 ter).
    Il reato è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro: la pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta per provocare un danno agli interessati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata, ovvero mediante l’impiego di strumenti informatici.
  • Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies).
    Il reato è punito con la reclusione da otto a 14 anni; la pena è l’ergastolo quando, per effetto del delitto in questione, si provoca la morte della vittima.
  • Costrizione o induzione al matrimonio (Art. 558-bis).
    Il reato è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.
  • Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (Art. 387-bis), sanzionato con la detenzione da sei mesi a tre anni.

 

AVVIO DEL PROCEDIMENTO VELOCE E TEMPESTIVO

 

Garantito maggior impulso e celerità nella comunicazione della notizia di reato.

 

La Polizia Giudiziaria dovrà portare a conoscenza del Pubblico Ministero, immediatamente, anche in forma orale, una notizia di reato relativa a delitti di violenza domestica e di genere, anche qualora la parte offesa non voglia formalizzare la denuncia, al fine di scongiurare ritardi che possano precludere l’adozione di misure e provvedimenti urgenti a tutela della vittima e l’acquisizione di eventuali elementi probatori.

 

Il Pubblico Ministero, nelle ipotesi ove proceda per i delitti di violenza domestica o di genere, dovrà escutere la vittima entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, termine prorogabile in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, pure nell’interesse della persona offesa.

 

Gli atti d’indagine delegati dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria devono avvenire senza ritardo.