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“CORONAVIRUS”: facciamo un po’ di chiarezza sulle responsabilità penali conseguenti alla violazioni delle norme sul contenimento del contagio da Coronavirus

Ormai tutti dovrebbero saperlo:

 

l’unico modo per rallentare il contagio è restare a casa!

 

Uscire è possibile solo ed esclusivamente per:

  • comprovate esigenze lavorative;
  • situazioni di necessità;
  • motivi di salute.

 

È inoltre consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza (cfr. Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 e 9 marzo 2020).

 

In questi giorni sono state diffuse alcune informazioni che hanno creato un po’ confusione sulle conseguenze derivanti dalla violazione delle prescrizioni sul contenimento del Coronavirus.

 

Cerchiamo di dare qualche chiarimento.

 

Innanzitutto, si deve precisare che le conseguenze derivanti dalla violazione delle norme che impongono limiti agli spostamenti delle persone fisiche sono di natura PENALE.

 

Infatti:

  • i Pubblici Ufficiali che sorprenderanno persone a spostarsi in assenza di uno dei tassativi motivi indicati dalla norma, verranno a conoscenza di una “notizia di reato” ;
  • la “notizia di reato” verrà trasmessa dai pubblici ufficiali alla Procura della Repubblica;
  • la Procura della Repubblica, ricevuta la notizia di reato, iscriverà un procedimento penale a carico del presunto responsabile; 
  • la sanzione, a carico del soggetto ritenuto responsabile della violazione, sarà sempre determinata da un Giudice, al termine di un processo penale o, se ne sussistano i presupposti, all’esito dell’emissione di un decreto penale di condanna. Nel caso in cui il Giudice, su richiesta del Pubblico Ministero, decida di utilizzare, sussistendone i presupposti, la procedura speciale del Decreto penale di condanna, potrà “saltare” sia l’udienza preliminare che il dibattimento ed applicare direttamente la pena pecuniaria, sanzione sempre e comunque di natura penale.

 

REATI CONTESTABILI

 

Nel caso in cui si circoli in assenza di una delle comprovate motivazioni previste dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 e 9 marzo 2020, quale reato verrà certamente contestato?

 

In questo caso verrà certamente contestata l’“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (ART. 650 C.P.), reato punito con l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206,00 euro, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato.

 

L’ammenda è una pena pecuniaria volta a punire una condotta penalmente rilevante.

 

Ha dunque sempre natura penale ed è quindi ben diversa dalla mera sanzione amministrativa.

 

Ciò significa – è bene ribadirlo – che la Procura della Repubblica, ricevuta la notizia di reato da parte delle forze dell’ordine, iscriverà un procedimento penale a carico del presunto trasgressore, all’esito del quale il Giudice, accertata la condotta illecita, determinerà la sanzione penale.

 

Per questo tipo di reato è anche possibile l’applicazione del procedimento speciale del decreto penale di condanna.

 

Quindi, come spiegato sopra, il Giudice, su richiesta del Pubblico Ministero, potrà decidere di applicare direttamente la pena pecuniaria (l’ammenda), “saltando” sia l’udienza preliminare che il dibattimento, ed emettendo direttamente il decreto penale di condanna, con conseguente iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale.

 

Insomma, per chiarire alcuni dubbi sorti nel corso di questi giorni su tale questione, si precisa che:  

 

Il fatto che il Giudice, per alcuni tipi di reato come quello previsto dall’art 650 c.p., possa utilizzare il procedimento speciale del decreto penale di condanna, “saltando” la celebrazione del processo penale ed irrogando direttamente una pena pecuniaria, non significa che a carico del trasgressore non vi sia stato l’accertamento di una responsabilità penale, anzi – al contrario – il decreto penale di condanna risulterà nel casellario giudiziale.

 

E’ ovvio che, nel caso in cui si ritenga di essere innocenti (cioè nel caso in cui lo spostamento personale sia effettivamente avvenuto nel pieno rispetto delle prescrizioni di legge sul contenimento del Covid-19), si potrà proporre opposizione al decreto penale di condanna emesso dal Giudice, dando dimostrazione della propria innocenza all’interno di un processo penale con l’assistenza di un avvocato.

 

Ma cosa succede se quello che dichiariamo alle forze dell’ordine relativamente ai motivi del nostro spostamento personale non corrisponde al vero?

 

In questo caso, al soggetto sorpreso a dichiarare il falso, potrà essere contestato anche un reato più grave del precedente, cioè la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, previsto e punito dall’art. 483 c.p. con la pena della reclusione fino a due anni.

 

La condotta contestata in questo caso consiste nella

 

“falsa attestazione a pubblico ufficiale, in un atto pubblico, di fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.

 

Anche in questo caso la notizia di reato sarà trasmessa alla Procura della Repubblica che iscriverà un procedimento penale a carico del presunto trasgressore, all’esito del quale il Giudice, accertata la responsabilità penale, determinerà la sanzione.

Anche in questo caso la notizia di reato sarà trasmessa alla Procura della Repubblica che iscriverà un procedimento penale a carico del presunto trasgressore, all’esito del quale il Giudice, accertata la responsabilità penale, determinerà la sanzione.

 

Sussistendo i motivi che giustificano gli spostamenti personali, possiamo circolare anche se accusiamo sintomi influenzali, se siamo risultati positivi al Covid 19 o se siamo stati posti in quarantena?

 

La risposta è, ovviamente, NO!

Capiamo anche in questo caso si rischia.

Come noto, il nuovo modello di autocertificazione diffuso dal Governo, da utilizzare per giustificare gli spostamenti personali, prevede espressamente la dichiarazione di 

 

“non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus COVID-19”.

 

A tal proposito è bene dunque precisare che, il soggetto che si sia spostato nonostante la quarantena e/o con la consapevolezza di essere positivo al virus, potrebbe essere ritenuto responsabile del reato di colposa diffusione della epidemia (art. 452 c.p.) ovvero, nel caso in cui venisse accertata la volontarietà del contagio di altre persone, potrebbe essere ritenuto responsabile di reati ben più gravi, come le lesioni personali (art. 582 c.p.) o l’omicidio volontario (art. 582 c.p.).

 

Vale la pena ricordare, infine, che nel nostro ordinamento esiste anche il reato di “epidemia”, integrato da

 

“chiunque cagiona una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”,

 

previsto e punito dall’art. 438 c.p. con la pena dell’ergastolo.

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“EMERGENZA CORONAVIRUS”: garantita la frequentazione dei figli per i genitori separati e la celebrazione dei processi per le emergenze familiari

1) Garantita la normale alternanza nella frequentazione dei figli.

 

Il susseguirsi dei provvedimenti del Governo per l’emergenza Coronavirus ha cambiato in pochi giorni la vita di tutti noi.

 

Le limitazioni agli spostamenti personali, ormai valide su tutto il territorio nazionale, non si traducono in un impedimento alla normale alternanza nella frequentazione dei figli nelle coppie separate.

 

Il timore era stato immediatamente manifestato da parte dei genitori “non collocatari” dei minori, ma il Governo ha sin da subito precisato che lo spostamento per andare a prendere il proprio figlio presso l’altro genitore è sempre consentito.

 

Infatti, come noto, le motivazioni che giustificano gli spostamenti delle persone sono:

  • comprovate esigenze di lavoro;
  • motivi di salute;
  • situazioni di necessità.

 

Lo spostamento del genitore per andare a prendere il proprio figlio a casa dell’altro genitore rientranelle situazioni di necessità di natura familiare.

 

2) Giustizia ferma ma garantiti i processi urgenti in materia di famiglia.

 

Anche la Giustizia si è fermata di fronte all’emergenza Coronavirus, ma i processi urgenti in materia di famiglia vengono garantiti.

 

Infatti la sospensione dei processi, prevista dal decreto legge n. 11 dell’8 marzo 2020, non riguarda i procedimenti urgenti in materia di famiglia su adozioni, alimenti e obbligazioni alimentari derivanti da  rapporti  di famiglia,  di  parentela,  di  matrimonio  o   di  affinità né tutte le cause di competenza del Tribunale per i Minorenni in cui sussistano situazione di pregiudizio per i minori.

 

Il Tribunale Ordinario di Roma, che inizialmente aveva assicurato la celebrazione di tutte le udienze presidenziali (cioè delle udienze in cui vengono stabiliti i provvedimenti provvisori ed urgenti per i figli) all’aggravarsi della situazione di contagio, ha disposto il loro rinvio a data successiva al 31/05/2020 (come per i processi ordinari), garantendo tuttavia la possibilità di celebrazione anticipata dell’udienza nel caso in cui le parti ne presentino richiesta, rappresentando i motivi di urgenza.

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MAGGIORI TUTELE PER I RIDERS. Non più lavoratori a cottimo, ma collaboratori etero-organizzati

Considerati il simbolo di una globalizzazione spregiudicata e di una società basata sul digitale, i Riders sono stati al centro del recente dibattito giurisprudenziale e legislativo, riuscendo finalmente a conseguire i primi risultati verso il riconoscimento dei loro diritti.

 

Il Legislatore li ha definitivamente riconosciuti come lavoratori parasubordinati ai sensi del Jobs Act, e non più lavoratori a cottimo, garantendo loro maggiori tutele.

 

Chi sono i riders?

 

Sono gli ormai noti ciclofattorini, utilizzati principalmente da grandi multinazionali (come Glovo, Foodora, Deliveroo, Just Eat, Amazon) per far recapitare, direttamente a domicilio, i prodotti di cui le persone hanno bisogno.

 

Il rider spopola nei servizi di food delivery ma stiamo assistendo ad un sempre più crescente utilizzo di tale figura per la consegna di ogni tipo di prodotto.

 

Come funziona il lavoro del rider?

 

Il rider presta la propria attività lavorativa per grandi aziende, che fungono da intermediarie tra il produttore ed il consumatore finale del prodotto.

Le grandi aziende di delivery acquisiscono l’ordine tramite una piattaforma digitale e ne gestiscono l’asporto e la consegna al cliente finale, mediante l’utilizzo di veri e propri fattorini, i riders appunto.

 

Il rider riceve dunque dalla società di delivery, solitamente su supporto digitale, la notifica dell’ordine, nel quale trova scritto:

  • dove e cosa prelevare;
  • a chi e dove consegnare il prodotto;
  • i tempi di consegna richiesti.

 

Sulla base degli ordini ricevuti ed accettati dal rider, quest’ultimo dovrà organizzare al meglio il proprio lavoro di asporto e consegna.

 

Il rider, infatti, in base agli ordini che gli vengono notificati, può decidere autonomamente se accettare o rifiutare una consegna. Se accetta l’ordine, dovrà curare la qualità del servizio, anche preservando il prodotto da ogni incidente, e dovrà garantire la tempestività della consegna.

 

Qual è stato sin ora l’inquadramento contrattuale? Quali sono le novità?

 

Dunque, fino ad ora, se il rider accettava la consegna e la portava a termine, percepiva il proprio compenso, altrimenti no.

 

Ebbene, proprio la possibilità di organizzare il proprio lavoro e, in particolare, la possibilità di rifiutare la prestazione, sono state sino ad oggi l’appiglio utilizzato dalle aziende di delivery per contrattualizzare i riders come dei lavoratori autonomi pagati a cottimo, rendendo a loro inapplicabili le tutele garantite ai lavoratori subordinati.

 

Numerose sono state le iniziative volte a contrastare sia la bassa retribuzione di questi lavoratori che l’assenza di diritti e tutele nelle tipologie contrattuali ad essi applicati.

 

A Firenze il primo contratto nazionale.

 

A dare il via al riconoscimento di maggiori tutele per i riders è stata la città di Firenze dove la Filt, Fit e Uiltrasporti hanno firmato un accordo con la piattaforma di food delivery “Laconsegna”, nel quale è stato riconosciuto ai fattorini:

  • la natura di lavoro subordinato;
  • l’applicazione del contratto nazionale della logistica con tutti i diritti e le tutele che esso attribuisce ai lavoratori del settore;
  • la garanzia di una retribuzione mensile e del pagamento delle ore effettivamente lavorate.

Inoltre, nell’accordo è stato stabilito che il rischio d’impresa, legato alla vendita dei prodotti e alle conseguenti consegne, non sia più a carico dei lavoratori, ma dell’impresa di delivery.

 

Le recenti sentenze della Corte d’Appello di Torino e della Corte di Cassazione: riconoscimento del diritto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato per i riders

 

Il caso FOODORA.

 

Ulteriore passo verso il riconoscimento di maggiori tutele per i riders, è stato compiuto con una recente sentenza della Corte d’Appello di Torino, confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza pubblicata lo scorso 24 gennaio 2020 (Cass. Lav. n. 1663/2020).

 

Leggi la Sentenza sul sito della Corte di Cassazione

 

Nel caso Foodora, oggetto delle sentenze citate, la Corte d’Appello ha infatti qualificato i rapporti lavorativi dei riders come delle “collaborazioni etero-organizzate” alle quali va applicata la disciplina del lavoro subordinato.

 

Quanto sopra ai sensi della normativa sul Job Act (Art. 2, comma 1), secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro subordinato va applicata anche ai rapporti di collaborazione che si realizzano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali e continuative eseguite con modalità organizzate dal committente.

 

Spiegano i giudici:

 

“Quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.

Aggiungono gli Ermellini:

 

Si tratta di una scelta politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato  in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di ‘debolezza’ economica, operanti in una ‘zona grigia’ tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea”.

 

L’intervento del Legislatore.

 

Preso atto dell’esigenza non più procrastinabile di regolarizzare la materia, è da ultimo intervenuto il Legislatore approvando la LEGGE n. 128/2019 di conversione del DL 101/2019, recante “disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, che prevede per i riders:

 

  • una retribuzione composita, costituita solo in minima parte dal cottimo e per la parte maggior parte corrisposta su base oraria, parametrata sui compensi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti;
  • il diritto alla copertura assicurativa Inail contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali;
  • la garanzia della sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro;
  • il diritto alle informazioni utili circa la tutela dei loro interessi e dei loro diritti.

 

La disciplina si applica a tutti coloro che svolgono consegne su due ruote, biciclette e motocicli.

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AFFIDAMENTO ESCLUSIVO: rileva la condotta passata del genitore che abbia violato i propri doveri genitoriali

In caso di separazione o divorzio, la valutazione dell’interesse morale e materiale del minore non può prescindere dalla condotta passata dei genitori; valutazione che deve essere compiuta dal giudice di merito e che non è sindacabile in sede di legittimità.

Il giudizio prognostico del giudice di merito deve tenere conto della capacità del padre o della madre di educare e crescere il figlio,

 

con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore

 

privilegiando

 

“quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore”.

 

Con l’ordinanza n. 28244/2019 la Corte di Cassazione rileva pertanto la correttezza della decisione della Corte d’Appello impugnata, in quanto pienamente conforme al principio di tutela del primario ed esclusivo interesse morale e materiale dei minori.

 

Infatti, nel caso in esame, il padre aveva dimostrato di non essere interessato alla vita delle figlie, essendosi trasferito in una regione diversa senza avere più provveduto al loro mantenimento e non avendo partecipato alle loro scelte di vita.

 

La circostanza che il padre abbia trascurato tutti i suoi doveri genitoriali, non partecipando – né materialmente, né moralmente – alla vita delle figlie, ha comportato la decisione del giudice di disporre l’affidamento esclusivo delle minori alla madre.

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Il peggioramento del tenore di vita del genitore non lo esonera dal mantenimento dei figli

Con la sentenza 48567/2019 la Cassazione ribadisce che la riduzione del tenore di vita di un genitore non giustifica la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli.

 

Come è noto, la giurisprudenza di merito e di legittimità è da sempre concorde nel ritenere che sui genitori gravi l’obbligo di adoperarsi fattivamente al fine di ottenere le risorse necessarie per fornire ai propri figli un contributo di mantenimento adeguato, a nulla rilevando una

 

mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà economiche o la semplice indicazione dello stato di disoccupazione.

 

Per evitare la condanna ex art. 570 cp, relativo alla violazione degli obblighi di assistenza familiare,

 

è necessario fornire una dimostrazione rigorosa di una vera e propria impossibilità assoluta

 

di rispettare gli obblighi di mantenimento verso i figli.

 

Nel caso oggetto della citata sentenza, il padre inadempiente non aveva provato una condizione d’impossibilità totale ad adempiere, avendo egli unicamente allegato una contrazione del lavoro che lo avrebbe costretto ad un tenore di vita inferiore a quello precedente. 

 

Pertanto è stata ritenuta corretta dagli Ermellini la decisione della Corte d’Appello con cui era stata confermata la sentenza  di primo grado di condanna alla pena di due mesi di reclusione e 200 euro di multa per il reato disciplinato dall’art 570 c.p. e al risarcimento del danno in favore della parte civile.

 

Secondo la Cassazione, inoltre, la Corte d’Appello ha correttamente qualificato il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare come un illecito penale a dolo generico.

 

Affinché si realizzi la condotta omissiva punita dalla norma non è infatti necessario che il soggetto agisca con la precisa intenzione e volontà di far mancare i mezzi di sussistenza al destinatario bisognoso.