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Come tutelare i figli coinvolti nel conflitto genitoriale

1) Il decreto n. 2/2020 della Corte di Appello di Roma. La vicenda processuale.

 

Con il decreto n. 2 del 03.01.2020, la Corte d’Appello di Roma è recentemente intervenuta su un caso, tristemente salito agli onori della cronaca, modificando parzialmente una drastica decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni, relativa al regime di affidamento e collocamento di un bambino posto per anni al centro dell’aspra battaglia giudiziale dei genitori.

 

La decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni era intervenuta dopo anni di cause e provvedimenti giudiziari rivelatisi di fatto inidonei ad arginare l’esclation del conflitto genitoriale ed a salvaguardare efficacemente il figlio della coppia, rimasto irrimediabilmente invischiato in una relazione disfunzionale con la madre, con conseguente totale rifiuto della figura genitoriale paterna da parte del minore.   

 

Il Tribunale per i Minorenni, dunque, valutata la mancata attuazione degli interventi prescritti nei precedenti provvedimenti giudiziali, con una decisione sicuramente drastica ma, nelle intenzioni, certamente volta al perseguimento del concreto interesse del figlio, disponeva, previa sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori:

 

  • l’allontanamento – immediato ed urgente – del figlio dalla madre, ritenuta responsabile del rifiuto genitoriale del bambino nei confronti del padre, con sospensione dei contatti madre – figlio per un periodo di almeno tre mesi;
  • l’inversione del collocamento del bambino dall’abitazione della madre a quella del padre, con ulteriori prescrizioni, tra cui un’assistenza domiciliare h 24 nell’abitazione paterna, previa eventuale temporanea collocazione del minore in una casa famiglia.

 

La prevedibile strenua resistenza opposta della madre all’attuazione del suddetto provvedimento ed il reclamo avverso esso proposto, ha imposto una approfondita riflessione alla Corte d’Appello di Roma investita della questione che, dopo aver ripercorso tutta la risalente e dolorosa vicenda giudiziale tra le parti, ha ritenuto di dover operare un

 

adeguato bilanciamento ed una valutazione comparativa degli effetti negativi sul minore, possibilmente conseguenti all’attuazione del provvedimentodel Tribunale per i  Minorenni, rispetto ai benefici attesi.

 

Nel decreto in commento, la Corte:

  • dà atto di come nella lunga vicenda giudiziale si sia avuto un franco deteriorarsi dei rapporti tra i genitori e un forte aumento della conflittualità tra gli stessi;
  • dà atto altresì di come il minore fosse risultato ormai chiaramente invischiato in uno stritolante conflitto di lealtà con la figura materna ed in una relazione assolutizzante con ella – che ne aveva progressivamente e gravemente ostacolato, anche con l’ausilio dei propri genitori, il rapporto con il padre, verso il quale il bambino ormai mostra un rifiuto tanto assoluto quanto immotivato, riconducibile non ad elementi di reale pregiudizio ma ad un’azione costantemente denigratoria della figura paterna da parte dalla madre, motivata dall’astio e dalla ricerca di vendetta da questa nutriti nei confronti del padre;
  • dà atto inoltre della mancata collaborazione, più o meno consapevole, della madre nell’attuazione dei precedenti provvedimenti giudiziali che, nel tentativo di non essere troppo invasivi per il minore, avevano, dapprima, previsto un monitoraggio dei Servizi Sociali, una psicoterapia per il minore ed un sostegno alla genitorialità per la coppia, fino ad arrivare – manifestatosi evidentemente il rifiuto del figlio – a tentare un riavvicinamento di quest’ultimo verso il padre mediante la prescrizione di incontri protetti in spazio neutro, anche questi scarsamente attuati proprio per via delle dinamiche di rifiuto nel frattempo innescatesi nel bambino.

 

Nonostante la fedele ricostruzione dei fatti e la tangibile inefficacia dei più cauti e graduali provvedimenti giudiziali precedentemente assunti, la Corte ha tuttavia ritenuto di dover valorizzare il maggior trauma che il minore avrebbe potuto subire in conseguenza di un improvviso e forzato allontanamento dalla madre, considerata anche la patologia fisica di cui il bambino risulta affetto, ed ha così ritenuto di tornare a percorrere una strada meno invasiva per il figlio, sostenendo la necessità di un graduale reinserimento della figura paterna nella vita quotidiana del bambino.

 

Pertanto la Corte d’Appello ha deciso di disporre, in alternativa all’inversione di collocamento del figlio:

  • il mantenimento del collocamento del bambino presso la madre;
  • un graduale percorso per la ricostruzione del rapporto padre-figlio, sulla base di un progetto, da predisporre ad opera del tutore del minore unitamente allo psicoterapeuta, volto a prevedere e favorire l’assunzione di un ruolo attivo di accudimento del padre nei confronti del figlio – effettivo e non episodico – da svolgersi in modalità compatibile con gli impegni sociali, scolastici ed extrascolastici, del bambino, inizialmente in compresenza di un educatore e con la periodicità suggerita dai soggetti corresponsabili della sua attuazione.

 

Sebbene la Corte abbia chiarito inequivocabilmente la necessità che la madre consenta l’effettiva attuazione del provvedimento assunto ed abbia invitato i Servizi, l’educatore, il tutore e lo psicoterapeuta a monitorare sulla effettiva esecuzione del progetto di ricostruzione del rapporto padre-figlio, non può negarsi il rischio che anche tale provvedimento resti, come i precedenti, largamente inattuato, per via della scarsa collaborazione materna e del rifiuto della figura paterna, ormai radicato nel minore.

 

2) Riflessioni: L’interesse primario del minore. La prevenzione e la gestione del conflitto genitoriale come soluzione più efficace per garantire la concreta tutela dei figli. La mediazione familiare.

 

In casi come quello in esame è tangibile l’amara percezione che qualsiasi intervento postumo risulti poco tempestivo rispetto alla sempre più rapida escalation del conflitto genitoriale e, di conseguenza, difficilmente attuabile, poco efficace o, comunque, non idoneo a riparare i gravissimi danni già provocati ai minori coinvolti.

 

Non c’è dubbio che ogni decisione giudiziale debba essere orientata al perseguimento del tanto invocato “primario interesse del minore”.

 

Eppure, nei tanti casi in cui il conflitto genitoriale diventa esasperato, l’interesse del figlio non appare più facilmente individuabile né, soprattutto, efficacemente e tempestivamente perseguibile mediante provvedimenti giudiziali.

 

Il conflitto nella coppia giunge spesso a livelli tanto elevati da coinvolgere i figli in prima persona, rendendoli – loro malgrado – oggetto del conflitto stesso nonché principale strumento, utilizzato dai genitori, per continuare ad alimentarlo.

 

In tali situazioni il bambino, da un lato, ha diritto di essere liberato dalle dinamiche conflittuali dei genitori e, dall’altro, conserva il diritto di coltivare pienamente il suo rapporto con ciascuno di essi.

 

Le decisioni pronunciate dai Tribunali, in questi casi, devono pertanto essere caute e bilanciate proprio per non ulteriormente compromettere il benessere psicologico dei figli, già fin troppo provati dal conflitto genitoriale.

 

Il rischio di tale necessaria cautela nelle pronunce giudiziali è, però, appunto, quello della carenza di una concreta efficacia di tutela per il minore invischiato nel conflitto genitoriale.

 

Appare dunque sempre più evidente che per poter davvero perseguire e garantire il tanto invocato “superiore interesse del minore” sia necessario cominciare a pensare, proporre e percorrere – tempestivamente – strade alternative, individuando ogni possibile strumento che agisca sulla prevenzione delle sopra descritte escalation conflittuali.

 

Da questo punto vista, la mediazione familiare si rivela lo strumento principale che chi opera in questo delicato terreno può proporre alla coppia, perché permette di gestire il conflitto familiare, al di fuori dalle aule dei Tribunali, in ambiente protetto e riservato, con l’ausilio di un professionista qualificato ed all’uopo formato.

 

È evidente che nessun genuino ed efficace percorso di mediazione potrà mai essere imposto alle parti, nella quali spesso la voglia di rivendicazione personale sull’ex partner offusca la consapevolezza della sofferenza e dei danni provocati ai propri figli.

 

Pur, dunque, nella consapevolezza del limite costituito dalla necessaria e consapevole volontà delle parti, casi come quello in esame sostengono la convinzione che occorre investire sulla sensibilizzazione di tali temi tra quanti operano nell’ambito delle dinamiche familiari, per diffondere concretamente la cultura della mediazione, in un’ottica di efficace prevenzione e gestione del conflitto, davvero, nell’esclusivo primario interesse dei minori.