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I chiarimenti del Ministero dopo la circolare del 31 marzo sulle disposizioni per la prevenzione del contagio Covid-19

LE REGOLE SUGLI SPOSTAMENTI PER CONTENERE LA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS NON CAMBIANO.

 

Si può uscire dalla propria abitazione esclusivamente nelle ipotesi già previste dai decreti del presidente del Consiglio dei Ministri: per lavoro, per motivi di assoluta urgenza o di necessità e per motivi di salute.

 

La circolare del ministero dell’Interno del 31 marzo si è limitata a chiarire alcuni aspetti interpretativi sulla base di richieste pervenute al Viminale. In particolare, è stato specificato che la possibilità di uscire con i figli minori è consentita a un solo genitore per camminare purché questo avvenga in prossimità della propria abitazione e in occasione di spostamenti motivati da situazioni di necessità o di salute.

 

Per quanto riguarda l’attività motoria è stato chiarito che, fermo restando le limitazioni indicate, è consentito camminare solo nei pressi della propria abitazione. La circolare ha ribadito che non è consentito in ogni caso svolgere attività ludica e ricreativa all’aperto e che continua ad essere vietato l’accesso ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici.

 

La medesima circolare ha ricordato infine che in ogni caso tutti gli spostamenti sono soggetti a un divieto generale di assembramento e quindi all’obbligo di rispettare la distanza minima di sicurezza.

 

Le regole e i divieti sugli spostamenti delle persone fisiche, dunque, rimangono le stesse.

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Frequentazione dei figli ai tempi del Coronavirus

SCIOLTI DAL GOVERNO I DUBBI INTERPRETATIVI SULLA LEGITTIMITÀ DEGLI SPOSTAMENTI TRA COMUNI PER RAGGIUNGERE I FIGLI MINORENNI PRESSO L’ALTRO GENITORE.

 

A dieci giorni dall’emissione del DPCM 22.03.2020, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aggiorna finalmente le FAQ pubblicate sulla propria pagina web, sciogliendo i dubbi interpretativi sulla legittimità degli spostamenti da un Comune all’altro per raggiunger i figli presso l’altro genitore.

 

In particolare:

  • viene confermato che gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore sono sempre consentiti, ANCHE DA UN COMUNE ALL’ALTRO;
  • viene specificato che, in mancanza di un provvedimento giudiziale che abbia già regolamentato la frequentazione, il diritto di visita dei figli resta comunque consentito secondo le modalità concordate dai genitori.

 

Ecco la FAQ del sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri al aggiornata 01.04.2020:

 

Sono separato/divorziato, posso andare a trovare i miei figli minorenni?

 

Sì. Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse etc.), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori.

 

I dubbi interpretativi sulla legittimità di spostamento dei genitori da un Comune all’altro erano sorti a seguito del DPCM 22.03.20202

 

Infatti, lo spostamento personale del genitore per raggiungere il figlio presso l’altro genitore era stato sin da subito considerato legittimo, potendo configurarsi come “situazione di necessità” di natura familiare.

 

Tuttavia, nella notte del 22 marzo 2020, il citato D.P.C.M. aveva prescritto il

 

divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati dal comune in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute“.

 

Per gli spostamenti tra Comuni, dunque, la deroga della “situazione di necessità” è stata sostituita dai motivi di “assoluta urgenza, nei quali non sembrava rientrare lo spostamento del genitore volto alla frequentazione del figlio. In tal senso si era già orientata la giurisprudenza.

 

Solo pochi giorni fa, infatti, il Tribunale di Bari, aveva ritenuto legittima la sospensione della frequentazione con i figli residenti in comuni diversi, durante il periodo dell’emergenza sanitaria.

 

Oggi, al contrario, la Presidenza del Consiglio ha definitivamente chiarito la legittimità di ogni spostamento, anche al di fuori del Comune, volto a raggiungere i propri figli minorenni presso l’altro genitore.

 

E’ ovvio che i suddetti spostamenti dovranno sempre avvenire:

 

“scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario”

 

tenendo conto – quindi – di situazioni particolari, come persone in quarantena, positive, immunodepresse ecc.

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Come tutelare i figli coinvolti nel conflitto genitoriale

1) Il decreto n. 2/2020 della Corte di Appello di Roma. La vicenda processuale.

 

Con il decreto n. 2 del 03.01.2020, la Corte d’Appello di Roma è recentemente intervenuta su un caso, tristemente salito agli onori della cronaca, modificando parzialmente una drastica decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni, relativa al regime di affidamento e collocamento di un bambino posto per anni al centro dell’aspra battaglia giudiziale dei genitori.

 

La decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni era intervenuta dopo anni di cause e provvedimenti giudiziari rivelatisi di fatto inidonei ad arginare l’esclation del conflitto genitoriale ed a salvaguardare efficacemente il figlio della coppia, rimasto irrimediabilmente invischiato in una relazione disfunzionale con la madre, con conseguente totale rifiuto della figura genitoriale paterna da parte del minore.   

 

Il Tribunale per i Minorenni, dunque, valutata la mancata attuazione degli interventi prescritti nei precedenti provvedimenti giudiziali, con una decisione sicuramente drastica ma, nelle intenzioni, certamente volta al perseguimento del concreto interesse del figlio, disponeva, previa sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori:

 

  • l’allontanamento – immediato ed urgente – del figlio dalla madre, ritenuta responsabile del rifiuto genitoriale del bambino nei confronti del padre, con sospensione dei contatti madre – figlio per un periodo di almeno tre mesi;
  • l’inversione del collocamento del bambino dall’abitazione della madre a quella del padre, con ulteriori prescrizioni, tra cui un’assistenza domiciliare h 24 nell’abitazione paterna, previa eventuale temporanea collocazione del minore in una casa famiglia.

 

La prevedibile strenua resistenza opposta della madre all’attuazione del suddetto provvedimento ed il reclamo avverso esso proposto, ha imposto una approfondita riflessione alla Corte d’Appello di Roma investita della questione che, dopo aver ripercorso tutta la risalente e dolorosa vicenda giudiziale tra le parti, ha ritenuto di dover operare un

 

adeguato bilanciamento ed una valutazione comparativa degli effetti negativi sul minore, possibilmente conseguenti all’attuazione del provvedimentodel Tribunale per i  Minorenni, rispetto ai benefici attesi.

 

Nel decreto in commento, la Corte:

  • dà atto di come nella lunga vicenda giudiziale si sia avuto un franco deteriorarsi dei rapporti tra i genitori e un forte aumento della conflittualità tra gli stessi;
  • dà atto altresì di come il minore fosse risultato ormai chiaramente invischiato in uno stritolante conflitto di lealtà con la figura materna ed in una relazione assolutizzante con ella – che ne aveva progressivamente e gravemente ostacolato, anche con l’ausilio dei propri genitori, il rapporto con il padre, verso il quale il bambino ormai mostra un rifiuto tanto assoluto quanto immotivato, riconducibile non ad elementi di reale pregiudizio ma ad un’azione costantemente denigratoria della figura paterna da parte dalla madre, motivata dall’astio e dalla ricerca di vendetta da questa nutriti nei confronti del padre;
  • dà atto inoltre della mancata collaborazione, più o meno consapevole, della madre nell’attuazione dei precedenti provvedimenti giudiziali che, nel tentativo di non essere troppo invasivi per il minore, avevano, dapprima, previsto un monitoraggio dei Servizi Sociali, una psicoterapia per il minore ed un sostegno alla genitorialità per la coppia, fino ad arrivare – manifestatosi evidentemente il rifiuto del figlio – a tentare un riavvicinamento di quest’ultimo verso il padre mediante la prescrizione di incontri protetti in spazio neutro, anche questi scarsamente attuati proprio per via delle dinamiche di rifiuto nel frattempo innescatesi nel bambino.

 

Nonostante la fedele ricostruzione dei fatti e la tangibile inefficacia dei più cauti e graduali provvedimenti giudiziali precedentemente assunti, la Corte ha tuttavia ritenuto di dover valorizzare il maggior trauma che il minore avrebbe potuto subire in conseguenza di un improvviso e forzato allontanamento dalla madre, considerata anche la patologia fisica di cui il bambino risulta affetto, ed ha così ritenuto di tornare a percorrere una strada meno invasiva per il figlio, sostenendo la necessità di un graduale reinserimento della figura paterna nella vita quotidiana del bambino.

 

Pertanto la Corte d’Appello ha deciso di disporre, in alternativa all’inversione di collocamento del figlio:

  • il mantenimento del collocamento del bambino presso la madre;
  • un graduale percorso per la ricostruzione del rapporto padre-figlio, sulla base di un progetto, da predisporre ad opera del tutore del minore unitamente allo psicoterapeuta, volto a prevedere e favorire l’assunzione di un ruolo attivo di accudimento del padre nei confronti del figlio – effettivo e non episodico – da svolgersi in modalità compatibile con gli impegni sociali, scolastici ed extrascolastici, del bambino, inizialmente in compresenza di un educatore e con la periodicità suggerita dai soggetti corresponsabili della sua attuazione.

 

Sebbene la Corte abbia chiarito inequivocabilmente la necessità che la madre consenta l’effettiva attuazione del provvedimento assunto ed abbia invitato i Servizi, l’educatore, il tutore e lo psicoterapeuta a monitorare sulla effettiva esecuzione del progetto di ricostruzione del rapporto padre-figlio, non può negarsi il rischio che anche tale provvedimento resti, come i precedenti, largamente inattuato, per via della scarsa collaborazione materna e del rifiuto della figura paterna, ormai radicato nel minore.

 

2) Riflessioni: L’interesse primario del minore. La prevenzione e la gestione del conflitto genitoriale come soluzione più efficace per garantire la concreta tutela dei figli. La mediazione familiare.

 

In casi come quello in esame è tangibile l’amara percezione che qualsiasi intervento postumo risulti poco tempestivo rispetto alla sempre più rapida escalation del conflitto genitoriale e, di conseguenza, difficilmente attuabile, poco efficace o, comunque, non idoneo a riparare i gravissimi danni già provocati ai minori coinvolti.

 

Non c’è dubbio che ogni decisione giudiziale debba essere orientata al perseguimento del tanto invocato “primario interesse del minore”.

 

Eppure, nei tanti casi in cui il conflitto genitoriale diventa esasperato, l’interesse del figlio non appare più facilmente individuabile né, soprattutto, efficacemente e tempestivamente perseguibile mediante provvedimenti giudiziali.

 

Il conflitto nella coppia giunge spesso a livelli tanto elevati da coinvolgere i figli in prima persona, rendendoli – loro malgrado – oggetto del conflitto stesso nonché principale strumento, utilizzato dai genitori, per continuare ad alimentarlo.

 

In tali situazioni il bambino, da un lato, ha diritto di essere liberato dalle dinamiche conflittuali dei genitori e, dall’altro, conserva il diritto di coltivare pienamente il suo rapporto con ciascuno di essi.

 

Le decisioni pronunciate dai Tribunali, in questi casi, devono pertanto essere caute e bilanciate proprio per non ulteriormente compromettere il benessere psicologico dei figli, già fin troppo provati dal conflitto genitoriale.

 

Il rischio di tale necessaria cautela nelle pronunce giudiziali è, però, appunto, quello della carenza di una concreta efficacia di tutela per il minore invischiato nel conflitto genitoriale.

 

Appare dunque sempre più evidente che per poter davvero perseguire e garantire il tanto invocato “superiore interesse del minore” sia necessario cominciare a pensare, proporre e percorrere – tempestivamente – strade alternative, individuando ogni possibile strumento che agisca sulla prevenzione delle sopra descritte escalation conflittuali.

 

Da questo punto vista, la mediazione familiare si rivela lo strumento principale che chi opera in questo delicato terreno può proporre alla coppia, perché permette di gestire il conflitto familiare, al di fuori dalle aule dei Tribunali, in ambiente protetto e riservato, con l’ausilio di un professionista qualificato ed all’uopo formato.

 

È evidente che nessun genuino ed efficace percorso di mediazione potrà mai essere imposto alle parti, nella quali spesso la voglia di rivendicazione personale sull’ex partner offusca la consapevolezza della sofferenza e dei danni provocati ai propri figli.

 

Pur, dunque, nella consapevolezza del limite costituito dalla necessaria e consapevole volontà delle parti, casi come quello in esame sostengono la convinzione che occorre investire sulla sensibilizzazione di tali temi tra quanti operano nell’ambito delle dinamiche familiari, per diffondere concretamente la cultura della mediazione, in un’ottica di efficace prevenzione e gestione del conflitto, davvero, nell’esclusivo primario interesse dei minori.

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AFFIDAMENTO ESCLUSIVO: rileva la condotta passata del genitore che abbia violato i propri doveri genitoriali

In caso di separazione o divorzio, la valutazione dell’interesse morale e materiale del minore non può prescindere dalla condotta passata dei genitori; valutazione che deve essere compiuta dal giudice di merito e che non è sindacabile in sede di legittimità.

Il giudizio prognostico del giudice di merito deve tenere conto della capacità del padre o della madre di educare e crescere il figlio,

 

con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore

 

privilegiando

 

“quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore”.

 

Con l’ordinanza n. 28244/2019 la Corte di Cassazione rileva pertanto la correttezza della decisione della Corte d’Appello impugnata, in quanto pienamente conforme al principio di tutela del primario ed esclusivo interesse morale e materiale dei minori.

 

Infatti, nel caso in esame, il padre aveva dimostrato di non essere interessato alla vita delle figlie, essendosi trasferito in una regione diversa senza avere più provveduto al loro mantenimento e non avendo partecipato alle loro scelte di vita.

 

La circostanza che il padre abbia trascurato tutti i suoi doveri genitoriali, non partecipando – né materialmente, né moralmente – alla vita delle figlie, ha comportato la decisione del giudice di disporre l’affidamento esclusivo delle minori alla madre.

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Il peggioramento del tenore di vita del genitore non lo esonera dal mantenimento dei figli

Con la sentenza 48567/2019 la Cassazione ribadisce che la riduzione del tenore di vita di un genitore non giustifica la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli.

 

Come è noto, la giurisprudenza di merito e di legittimità è da sempre concorde nel ritenere che sui genitori gravi l’obbligo di adoperarsi fattivamente al fine di ottenere le risorse necessarie per fornire ai propri figli un contributo di mantenimento adeguato, a nulla rilevando una

 

mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà economiche o la semplice indicazione dello stato di disoccupazione.

 

Per evitare la condanna ex art. 570 cp, relativo alla violazione degli obblighi di assistenza familiare,

 

è necessario fornire una dimostrazione rigorosa di una vera e propria impossibilità assoluta

 

di rispettare gli obblighi di mantenimento verso i figli.

 

Nel caso oggetto della citata sentenza, il padre inadempiente non aveva provato una condizione d’impossibilità totale ad adempiere, avendo egli unicamente allegato una contrazione del lavoro che lo avrebbe costretto ad un tenore di vita inferiore a quello precedente. 

 

Pertanto è stata ritenuta corretta dagli Ermellini la decisione della Corte d’Appello con cui era stata confermata la sentenza  di primo grado di condanna alla pena di due mesi di reclusione e 200 euro di multa per il reato disciplinato dall’art 570 c.p. e al risarcimento del danno in favore della parte civile.

 

Secondo la Cassazione, inoltre, la Corte d’Appello ha correttamente qualificato il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare come un illecito penale a dolo generico.

 

Affinché si realizzi la condotta omissiva punita dalla norma non è infatti necessario che il soggetto agisca con la precisa intenzione e volontà di far mancare i mezzi di sussistenza al destinatario bisognoso.