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Tutto quello che devi sapere sul divorzio

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Che cos’è il divorzio: definizione

Il divorzio è un istituto giuridico, introdotto in Italia dalla legge n. 898 del 1970, che permette ai coniugi di sciogliere definitivamente il loro vincolo matrimoniale.

Che differenza c’è tra divorzio e separazione?

La prima differenza tra divorzio e separazione legale dei coniugi sta nelle delle cause che devono sussistere per poter procedere alle relative richieste.

Infatti per procedere alla richiesta di separazione legale è sufficiente che i coniugi (o anche uno solo di essi) decidano di separarsi a causa della sopraggiunta intollerabilità della loro convivenza, mentre per poter procedere alla richiesta di Divorzio è assolutamente necessario che ricorra una delle condizioni indicate nell’art. 3 della legge 1970/898, e cioè:

Nei casi previsti alle lettere b, c, d, e, si potrà procedere alla richiesta di cosiddetto Divorzio Immediato, cioè senza dover prima procedere alla separazione legale, necessaria invece nel primo caso.

La seconda differenza tra la separazione e il divorzio riguarda gli effetti che essi producono.

La separazione legale dei coniugi non scioglie il matrimonio ma “sospende” alcuni doveri coniugali derivanti dallo stesso (ad es. l’obbligo di coabitazione e di fedeltà), che possono tornare a “rivivere” qualora i coniugi decidessero di riconciliarsi. Due persone separate legalmente, infatti, conservano tra loro lo status di coniugi e potranno decidere di rimanere per sempre coniugi separati senza mai procedere alla richiesta di divorzio.

Il divorzio, invece, scioglie definitivamente il vincolo matrimoniale per cui, in caso di riconciliazione, per poter riacquisire lo status di coniugi, è necessario celebrare un nuovo matrimonio.

Come funziona il divorzio e quali sono le differenze tra i vari tipi di procedure

Divorzio congiunto e divorzio giudiziale: le differenze

Il divorzio, così come la separazione, può avvenire:
  • in via consensuale,  in questo caso si parlerà di divorzio congiunto;
  • in via giudiziale, in questo caso invece si parlerà di divorzio giudiziale.
Se i coniugi riescono a raggiungere un accordo, autonomamente o con l’assistenza dei loro avvocati, si può procedere con il divorzio congiunto, che il Tribunale dovrà omologare per renderlo valido a livello giuridico. Si può procedere al divorzio congiunto anche a seguito di un accordo raggiunto mediante Negoziazione Assistita, la quale prevede la presenza necessaria di due avvocati che dovranno far validare la richiesta dal Pubblico Ministero affinché assuma validità giuridica. Se invece solo uno dei due coniugi voglia divorziare oppure entrambi vogliano divorziare ma non siano d’accordo sulle condizioni del loro divorzio, si dovrà necessariamente avviare una causa in Tribunale. In questo caso si parlerà di divorzio giudiziale.

Come funziona il divorzio congiunto

Un’altra procedura con cui si può procedere al divorzio congiunto è la negoziazione assistita.

È una procedura che si svolge necessariamente per il tramite di due avvocati (uno per ciascuna parte) i quali “sostituiscono” l’attività del Giudice e fungono da garanti della correttezza e legalità della procedura.

Il vantaggio di questa procedura sta nella sua breve durata che non può essere inferiore a 30 giorni, ma neanche superiore a 3 mesi: entro questo termine, infatti, l’accordo firmato dalle parti e autenticato dai rispettivi avvocati va concluso.

Questa volta, però, l’accordo raggiunto dai coniugi tramite la mediazione dei rispettivi avvocati, non viene trascritto in un ricorso congiunto da presentare in udienza davanti al Giudice per chiederne l’omologazione, ma viene riportato in un accordo sottoscritto da entrambi i coniugi e, per autentica, dai rispettivi legali.

L’accordo così redatto viene poi sottoposto ad un “controllo” da parte del Pubblico Ministero per poter rilasciare il nulla osta o l’autorizzazione riguardo la regolarità degli atti e la rispondenza delle condizioni pattuite all’interesse dei figli.

Come funziona il divorzio giudiziale

Ciascuno dei coniugi può inoltre procedere ad avviare una causa di divorzio, a prescindere dal consenso e dalla collaborazione dell’altro

In questi casi il coniuge che vuole il divorzio procederà avviando un divorzio giudiziale. 

Questa procedura può essere intrapresa quando:

  • uno dei due coniugi, pur sussistendone i presupposti, non è d’accordo sullo scioglimento definitivo del matrimonio 

e/o 

  • quando le parti, pur essendo d’accordo sulla decisione di divorziare, non sono d’accordo sulle condizioni del loro divorzio (cioè sulla regolamentazione dei loro rapporti personali, economici e di gestione dei figli).

In questo caso, il coniuge che vuole avviare l’azione di divorzio si rivolgerà ad un avvocato che stilerà e presenterà in Tribunale un ricorso autonomo contenente le richieste di regolamentazione dei rapporti economici e personali tra le parti e relative alla gestione dei figli. 

Il Tribunale, ricevuto il ricorso, fisserà un’udienza, dando alla controparte un termine per scrivere le proprie richieste e, al termine del giudizio, il giudice deciderà in merito emettendo una sentenza 

Nel caso in cui il coniuge chiamato in causa decida di non presentarsi (ossia in caso di “contumacia”), il giudizio di divorzio andrà avanti ugualmente.

Dopo quanto tempo è possibile divorziare

Al di fuori dei casi sopra elencati in cui è concesso avanzare domanda di divorzio immediato, per poter divorziare è necessario che i coniugi si siano prima separati legalmente. 

In particolare, è necessario che sia trascorso:

Gli effetti del divorzio

  1. Con il divorzio si scioglie definitivamente il vincolo coniugale. Questo significa che si perde lo status di coniuge e quindi, se i due ex coniugi volessero tornare ad essere sposati, sarà per loro necessario convolare nuovamente a nozze. Nel caso ci sia stato un matrimonio religioso con effetti civili, anziché di scioglimento del vincolo matrimoniale, si parlerà di cessazione degli effetti civili del matrimonio, in quanto il vincolo religioso permane.
  2. Con il divorzio vengono meno anche tutti i doveri coniugali che durante la fase di separazione erano invece rimasti solamente “sospesi”. Rimane tuttavia nei confronti dell’ex coniuge il dovere di solidarietà che si concretizza in un diritto di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e che viene assolto mediante la corresponsione di un assegno divorzile, cioè di un assegno periodico (o una tantum su accordo delle parti) che uno dei coniugi, a determinate condizioni, deve versare al coniuge che non abbia adeguati mezzi economici o abbia difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive. 
  3. La sentenza di divorzio che riconosce a un coniuge il diritto all’assegno divorzile comporterà, come ulteriore effetto, il diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto (o a una sua quota), a condizione che il coniuge superstite non si sia risposato.
  4. Il divorzio comporta il diritto dell’ex coniuge ad una quota del trattamento di fine rapporto (TFR) dell’altro, quando esso sia maturato prima della pronuncia della sentenza di divorzio.

Nell’ accordo/provvedimento di divorzio inoltre:

  • viene stabilita la destinazione della casa coniugale che, se ci sono figli, verrà assegnata al coniuge prevalentemente collocatario degli stessi, mentre, se non ci sono i figli, seguirà il diritto di proprietà;
  • viene stabilito l’affidamento dei figli minorenni, il loro collocamento prevalente, la loro frequentazione con il genitore non collocatario, le modalità del loro mantenimento

Divorzio e mantenimento dei figli

Entrambi i genitori hanno l’obbligo, in proporzione alle proprie capacità economiche, di mantenere sia i figli minori che quelli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti.

Il genitore non collocatario, che quindi non convive stabilmente con i propri figli, dovrà contribuire al loro mantenimento, versando un assegno al genitore con cui i figli convivono, per far fronte il soddisfacimento delle loro esigenze di vita quotidiana.

Inoltre, i genitori dovranno dividere tra loro, sempre in base alla loro capacità economica, le spese straordinarie relative ai figli, come le spese ludiche, mediche, sportive.

Nei casi di collocamento paritario dei figli presso entrambi i genitori (ad oggi molto rari), se i redditi dei genitori sono più o meno equivalenti, si potrà applicare il mantenimento diretto.

In questo caso, ogni genitore manterrà direttamente i figli nei giorni del collocamento presso di sé e tutte le varie spese afferenti i figli verranno divise tra i genitori in maniera equivalente.

Gli assegni: l’assegno di mantenimento per i figli e l’assegno divorzile

Con la pronuncia di divorzio possono dunque venire stabiliti:

Nello specifico:

  • l’assegno di mantenimento per i figli minori o maggiorenni non autosufficienti, cioè un assegno periodico che il genitore non prevalentemente collocatario deve versare all’altro genitore per contribuire al soddisfacimento delle esigenze di vita quotidiana dei figli.
  • l’assegno divorzile, cioè un assegno periodico (o una tantum su accordo delle parti) destinato al coniuge che non abbia adeguati mezzi economici o abbia difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive.

L’inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge debole è stata per anni rapportata al tenore di vita goduto durante il matrimonio. 

Oggi invece, dopo l’intervento innovativo della Cassazione, tale contributo economico deve essere quantificato valutando:

  • le rispettive condizioni economiche dei coniugi (considerando anche l’eventuale patrimonio e i redditi del coniuge richiedente, o quelli che potrebbe procurarsi in base alla sua capacità lavorativa e all’età);
  • il contributo fornito dal coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dell’altro;
  • la durata del matrimonio.

Quanto costa divorziare

I costi della procedura di divorzio possono dipendere da vari fattori: in primo luogo dal tipo di procedura da applicare (consensuale o giudiziale), e quindi dai tempi che ogni procedura porta con sé. In secondo luogo dalla complessità delle questioni da trattare e dalla difficoltà e dal tempo necessario affinché le parti raggiungano un accordo.

I parametri utilizzabili per determinare il compenso degli avvocati sono comunque stabiliti dal D.M. 55/2014, che distingue in procedura consensuale e procedura giudiziale e che, per ogni tipologia, prevede dei minimi e dei massimi applicabili nell’ambito dello scaglione di valore di riferimento.

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Non è illegittimo il divieto di procreazione per le coppie omosessuali

La Corte Costituzionale deposita le motivazioni della Sentenza N. 221 del 18 giugno 2019 con cui aveva confermato il divieto di procreazione per le coppie gay.

 

Per i giudici della Consulta non esiste un diritto a procreare in quanto

 

“La tutela della salute non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia, o anche un individuo, reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l’evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione”

 

La Consulta spiega che

 

“Non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato”.

 

E, pur dando atto delle recenti evoluzioni giurisprudenziali sui temi dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali ed escludendo che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore possa fondarsi esclusivamente sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner, afferma che esiste

 

Una differenza essenziale tra l’adozione e la procreazione medicalmente assistita

 

Poichè l’adozione “presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo” .

 

Mentre la procreazione assistita

 

“Serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole – come si è detto – che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”.

Invero, afferma la Consulta

 

“L’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato, non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali”.

 

Nell’esigere, in particolare, per l’accesso alla PMA, la diversità di sesso dei componenti della coppia – condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia – il legislatore ha tenuto conto, d’altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cosiddetta “omogenitorialità” nell’ambito della comunità sociale, ritenendo che, all’epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto.

 

Dichiarate dunque non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Pordenone e Bolzano sulla legge 40/2004.

 

Le pratiche di procreazione medicalmente assistita restano quindi consentite alle sole “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi

 

Sentenza N. 221, Anno 2019