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“EMERGENZA CORONAVIRUS”: garantita la frequentazione dei figli per i genitori separati e la celebrazione dei processi per le emergenze familiari

1) Garantita la normale alternanza nella frequentazione dei figli.

 

Il susseguirsi dei provvedimenti del Governo per l’emergenza Coronavirus ha cambiato in pochi giorni la vita di tutti noi.

 

Le limitazioni agli spostamenti personali, ormai valide su tutto il territorio nazionale, non si traducono in un impedimento alla normale alternanza nella frequentazione dei figli nelle coppie separate.

 

Il timore era stato immediatamente manifestato da parte dei genitori “non collocatari” dei minori, ma il Governo ha sin da subito precisato che lo spostamento per andare a prendere il proprio figlio presso l’altro genitore è sempre consentito.

 

Infatti, come noto, le motivazioni che giustificano gli spostamenti delle persone sono:

  • comprovate esigenze di lavoro;
  • motivi di salute;
  • situazioni di necessità.

 

Lo spostamento del genitore per andare a prendere il proprio figlio a casa dell’altro genitore rientranelle situazioni di necessità di natura familiare.

 

2) Giustizia ferma ma garantiti i processi urgenti in materia di famiglia.

 

Anche la Giustizia si è fermata di fronte all’emergenza Coronavirus, ma i processi urgenti in materia di famiglia vengono garantiti.

 

Infatti la sospensione dei processi, prevista dal decreto legge n. 11 dell’8 marzo 2020, non riguarda i procedimenti urgenti in materia di famiglia su adozioni, alimenti e obbligazioni alimentari derivanti da  rapporti  di famiglia,  di  parentela,  di  matrimonio  o   di  affinità né tutte le cause di competenza del Tribunale per i Minorenni in cui sussistano situazione di pregiudizio per i minori.

 

Il Tribunale Ordinario di Roma, che inizialmente aveva assicurato la celebrazione di tutte le udienze presidenziali (cioè delle udienze in cui vengono stabiliti i provvedimenti provvisori ed urgenti per i figli) all’aggravarsi della situazione di contagio, ha disposto il loro rinvio a data successiva al 31/05/2020 (come per i processi ordinari), garantendo tuttavia la possibilità di celebrazione anticipata dell’udienza nel caso in cui le parti ne presentino richiesta, rappresentando i motivi di urgenza.

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Top news per la famiglia – Febbraio 2020

ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE PER INFEDELTÀ DEL CONIUGE

 

Cassazione, Ordinanza 4899/2020: La produzione fotografica che ritrae il coniuge in atteggiamenti intimi con un’altra donna giustifica l’addebito a suo carico per infedeltà perché la comune esperienza induce a presumere da dette foto l’esistenza di una relazione extraconiugale.

 

Nel caso in esame, il marito aveva rilevato l’assenza di un processo logico valutativo da parte dei giudici di merito sui fatti contestati, eccependo la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’addebitabilità della separazione.

 

Per il ricorrente, infatti, sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano fondato la propria decisione su mere produzioni fotografiche che lo ritraevano in pretesi “atteggiamenti intimi con una donna” che, a suo avviso, invece mostravano un rapporto puramente “amicale”.

 

Gli Ermellini hanno statuito invece che le risultanze probatorie emergenti dalle citate produzioni fotografiche erano state

 

correttamente valutate dal giudice di primo grado come dimostrative della violazione del dovere di fedeltà coniugale da parte del marito” poiché lo mostravano “in un atteggiamento di intimità con una donna che secondo la comune esperienza induce a presumere l’esistenza tra i due di una relazione extraconiugale”. 

 

ASSEGNO DIVORZILE

 

Cassazione, Ordinanze n. 3661/2020 e 3662/2020: Deve essere ridotto l’assegno di divorzio della moglie se quest’ultima non si attiva nel cercare un lavoro e se non ci sono impossibilità oggettive di procurarsi i mezzi necessari.

 

Con la prima ordinanza la Cassazione sancisce che per il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile rilevano le capacità dell’ex coniuge di procurarsi i mezzi di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali, piuttosto che, come ritiene la moglie, le occasioni concretamente avute dall’avente diritto di ottenere un lavoro.

 

L’ex coniuge è infatti chiamato a valorizzare le sue potenzialità professionali e reddituali personali con una condotta attiva, facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, non potendo darsi rilevanza, ai fini della decisione sull’assegno, al contegno, deresponsabilizzante e attendista, di chi di limiti ad aspettare opportunità di lavoro, riversando sul coniuge più abbiente, l’esito della fine della vita matrimoniale.

 

Nella seconda ordinanza, la Corte di Cassazione, rilevando che per il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore della ex moglie non può farsi riferimento solo ad un giudizio comparativo delle condizioni personali ed economiche delle parti ma deve preliminarmente indagarsi sull’esistenza dei presupposti richiesti ai fini del riconoscimento di questo diritto, rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione, con l’obbligo di attenersi al seguente principio di diritto:

 

“ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell‘impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.”

 

AFFIDAMENTO FIGLI

 

Corte d’Appello di Catanzaro decreto n. 725 del 20 febbraio 2020: L’elevata conflittualità tra i genitori può essere ostativa al regime giuridico dell’affido condiviso in quanto pregiudizievole per il minore.

 

La Corte d’Appello di Catanzaro, respingendo il reclamo avanzato da una madre, ha ritenuto che, nel caso in esame, la responsabilità dei contrasti tra i genitori fosse addebitabile prevalentemente alla donna, che non solo non si era attivata per favorire il rapporto tra il padre e il figlio, ma – anzi – lo aveva fortemente ostacolato.

 

Da ciò è derivata la decisione di affidare il figlio esclusivamente al padre e di collocarlo presso di lui, presentando il padre i requisiti caratteriali e di personalità maggiormente rispondenti all’interesse del minore, sulla base di una valutazione di maggiore idoneità di quest’ultimo nello svolgimento dell’essenziale funzione di tutela sia del proprio rapporto con il minore, che di quello del figlio con l’altro genitore.

 

La decisione in commento, dunque, onera il padre di “un’importante assunzione di responsabilità” nell’interesse del figlio, chiarendo che, quale genitore ritenuto maggiormente responsabile nella attuale situazione di conflitto, egli è tenuto a salvaguardare il rapporto del figlio con l’altra figura genitoriale, al momento ritenuta inadeguata, con l’obiettivo di una progressiva riduzione della conflittualità che conduca ad un pieno recupero della bigenitorialità.

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Come tutelare i figli coinvolti nel conflitto genitoriale

1) Il decreto n. 2/2020 della Corte di Appello di Roma. La vicenda processuale.

 

Con il decreto n. 2 del 03.01.2020, la Corte d’Appello di Roma è recentemente intervenuta su un caso, tristemente salito agli onori della cronaca, modificando parzialmente una drastica decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni, relativa al regime di affidamento e collocamento di un bambino posto per anni al centro dell’aspra battaglia giudiziale dei genitori.

 

La decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni era intervenuta dopo anni di cause e provvedimenti giudiziari rivelatisi di fatto inidonei ad arginare l’esclation del conflitto genitoriale ed a salvaguardare efficacemente il figlio della coppia, rimasto irrimediabilmente invischiato in una relazione disfunzionale con la madre, con conseguente totale rifiuto della figura genitoriale paterna da parte del minore.   

 

Il Tribunale per i Minorenni, dunque, valutata la mancata attuazione degli interventi prescritti nei precedenti provvedimenti giudiziali, con una decisione sicuramente drastica ma, nelle intenzioni, certamente volta al perseguimento del concreto interesse del figlio, disponeva, previa sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori:

 

  • l’allontanamento – immediato ed urgente – del figlio dalla madre, ritenuta responsabile del rifiuto genitoriale del bambino nei confronti del padre, con sospensione dei contatti madre – figlio per un periodo di almeno tre mesi;
  • l’inversione del collocamento del bambino dall’abitazione della madre a quella del padre, con ulteriori prescrizioni, tra cui un’assistenza domiciliare h 24 nell’abitazione paterna, previa eventuale temporanea collocazione del minore in una casa famiglia.

 

La prevedibile strenua resistenza opposta della madre all’attuazione del suddetto provvedimento ed il reclamo avverso esso proposto, ha imposto una approfondita riflessione alla Corte d’Appello di Roma investita della questione che, dopo aver ripercorso tutta la risalente e dolorosa vicenda giudiziale tra le parti, ha ritenuto di dover operare un

 

adeguato bilanciamento ed una valutazione comparativa degli effetti negativi sul minore, possibilmente conseguenti all’attuazione del provvedimentodel Tribunale per i  Minorenni, rispetto ai benefici attesi.

 

Nel decreto in commento, la Corte:

  • dà atto di come nella lunga vicenda giudiziale si sia avuto un franco deteriorarsi dei rapporti tra i genitori e un forte aumento della conflittualità tra gli stessi;
  • dà atto altresì di come il minore fosse risultato ormai chiaramente invischiato in uno stritolante conflitto di lealtà con la figura materna ed in una relazione assolutizzante con ella – che ne aveva progressivamente e gravemente ostacolato, anche con l’ausilio dei propri genitori, il rapporto con il padre, verso il quale il bambino ormai mostra un rifiuto tanto assoluto quanto immotivato, riconducibile non ad elementi di reale pregiudizio ma ad un’azione costantemente denigratoria della figura paterna da parte dalla madre, motivata dall’astio e dalla ricerca di vendetta da questa nutriti nei confronti del padre;
  • dà atto inoltre della mancata collaborazione, più o meno consapevole, della madre nell’attuazione dei precedenti provvedimenti giudiziali che, nel tentativo di non essere troppo invasivi per il minore, avevano, dapprima, previsto un monitoraggio dei Servizi Sociali, una psicoterapia per il minore ed un sostegno alla genitorialità per la coppia, fino ad arrivare – manifestatosi evidentemente il rifiuto del figlio – a tentare un riavvicinamento di quest’ultimo verso il padre mediante la prescrizione di incontri protetti in spazio neutro, anche questi scarsamente attuati proprio per via delle dinamiche di rifiuto nel frattempo innescatesi nel bambino.

 

Nonostante la fedele ricostruzione dei fatti e la tangibile inefficacia dei più cauti e graduali provvedimenti giudiziali precedentemente assunti, la Corte ha tuttavia ritenuto di dover valorizzare il maggior trauma che il minore avrebbe potuto subire in conseguenza di un improvviso e forzato allontanamento dalla madre, considerata anche la patologia fisica di cui il bambino risulta affetto, ed ha così ritenuto di tornare a percorrere una strada meno invasiva per il figlio, sostenendo la necessità di un graduale reinserimento della figura paterna nella vita quotidiana del bambino.

 

Pertanto la Corte d’Appello ha deciso di disporre, in alternativa all’inversione di collocamento del figlio:

  • il mantenimento del collocamento del bambino presso la madre;
  • un graduale percorso per la ricostruzione del rapporto padre-figlio, sulla base di un progetto, da predisporre ad opera del tutore del minore unitamente allo psicoterapeuta, volto a prevedere e favorire l’assunzione di un ruolo attivo di accudimento del padre nei confronti del figlio – effettivo e non episodico – da svolgersi in modalità compatibile con gli impegni sociali, scolastici ed extrascolastici, del bambino, inizialmente in compresenza di un educatore e con la periodicità suggerita dai soggetti corresponsabili della sua attuazione.

 

Sebbene la Corte abbia chiarito inequivocabilmente la necessità che la madre consenta l’effettiva attuazione del provvedimento assunto ed abbia invitato i Servizi, l’educatore, il tutore e lo psicoterapeuta a monitorare sulla effettiva esecuzione del progetto di ricostruzione del rapporto padre-figlio, non può negarsi il rischio che anche tale provvedimento resti, come i precedenti, largamente inattuato, per via della scarsa collaborazione materna e del rifiuto della figura paterna, ormai radicato nel minore.

 

2) Riflessioni: L’interesse primario del minore. La prevenzione e la gestione del conflitto genitoriale come soluzione più efficace per garantire la concreta tutela dei figli. La mediazione familiare.

 

In casi come quello in esame è tangibile l’amara percezione che qualsiasi intervento postumo risulti poco tempestivo rispetto alla sempre più rapida escalation del conflitto genitoriale e, di conseguenza, difficilmente attuabile, poco efficace o, comunque, non idoneo a riparare i gravissimi danni già provocati ai minori coinvolti.

 

Non c’è dubbio che ogni decisione giudiziale debba essere orientata al perseguimento del tanto invocato “primario interesse del minore”.

 

Eppure, nei tanti casi in cui il conflitto genitoriale diventa esasperato, l’interesse del figlio non appare più facilmente individuabile né, soprattutto, efficacemente e tempestivamente perseguibile mediante provvedimenti giudiziali.

 

Il conflitto nella coppia giunge spesso a livelli tanto elevati da coinvolgere i figli in prima persona, rendendoli – loro malgrado – oggetto del conflitto stesso nonché principale strumento, utilizzato dai genitori, per continuare ad alimentarlo.

 

In tali situazioni il bambino, da un lato, ha diritto di essere liberato dalle dinamiche conflittuali dei genitori e, dall’altro, conserva il diritto di coltivare pienamente il suo rapporto con ciascuno di essi.

 

Le decisioni pronunciate dai Tribunali, in questi casi, devono pertanto essere caute e bilanciate proprio per non ulteriormente compromettere il benessere psicologico dei figli, già fin troppo provati dal conflitto genitoriale.

 

Il rischio di tale necessaria cautela nelle pronunce giudiziali è, però, appunto, quello della carenza di una concreta efficacia di tutela per il minore invischiato nel conflitto genitoriale.

 

Appare dunque sempre più evidente che per poter davvero perseguire e garantire il tanto invocato “superiore interesse del minore” sia necessario cominciare a pensare, proporre e percorrere – tempestivamente – strade alternative, individuando ogni possibile strumento che agisca sulla prevenzione delle sopra descritte escalation conflittuali.

 

Da questo punto vista, la mediazione familiare si rivela lo strumento principale che chi opera in questo delicato terreno può proporre alla coppia, perché permette di gestire il conflitto familiare, al di fuori dalle aule dei Tribunali, in ambiente protetto e riservato, con l’ausilio di un professionista qualificato ed all’uopo formato.

 

È evidente che nessun genuino ed efficace percorso di mediazione potrà mai essere imposto alle parti, nella quali spesso la voglia di rivendicazione personale sull’ex partner offusca la consapevolezza della sofferenza e dei danni provocati ai propri figli.

 

Pur, dunque, nella consapevolezza del limite costituito dalla necessaria e consapevole volontà delle parti, casi come quello in esame sostengono la convinzione che occorre investire sulla sensibilizzazione di tali temi tra quanti operano nell’ambito delle dinamiche familiari, per diffondere concretamente la cultura della mediazione, in un’ottica di efficace prevenzione e gestione del conflitto, davvero, nell’esclusivo primario interesse dei minori.

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MAGGIORI TUTELE PER I RIDERS. Non più lavoratori a cottimo, ma collaboratori etero-organizzati

Considerati il simbolo di una globalizzazione spregiudicata e di una società basata sul digitale, i Riders sono stati al centro del recente dibattito giurisprudenziale e legislativo, riuscendo finalmente a conseguire i primi risultati verso il riconoscimento dei loro diritti.

 

Il Legislatore li ha definitivamente riconosciuti come lavoratori parasubordinati ai sensi del Jobs Act, e non più lavoratori a cottimo, garantendo loro maggiori tutele.

 

Chi sono i riders?

 

Sono gli ormai noti ciclofattorini, utilizzati principalmente da grandi multinazionali (come Glovo, Foodora, Deliveroo, Just Eat, Amazon) per far recapitare, direttamente a domicilio, i prodotti di cui le persone hanno bisogno.

 

Il rider spopola nei servizi di food delivery ma stiamo assistendo ad un sempre più crescente utilizzo di tale figura per la consegna di ogni tipo di prodotto.

 

Come funziona il lavoro del rider?

 

Il rider presta la propria attività lavorativa per grandi aziende, che fungono da intermediarie tra il produttore ed il consumatore finale del prodotto.

Le grandi aziende di delivery acquisiscono l’ordine tramite una piattaforma digitale e ne gestiscono l’asporto e la consegna al cliente finale, mediante l’utilizzo di veri e propri fattorini, i riders appunto.

 

Il rider riceve dunque dalla società di delivery, solitamente su supporto digitale, la notifica dell’ordine, nel quale trova scritto:

  • dove e cosa prelevare;
  • a chi e dove consegnare il prodotto;
  • i tempi di consegna richiesti.

 

Sulla base degli ordini ricevuti ed accettati dal rider, quest’ultimo dovrà organizzare al meglio il proprio lavoro di asporto e consegna.

 

Il rider, infatti, in base agli ordini che gli vengono notificati, può decidere autonomamente se accettare o rifiutare una consegna. Se accetta l’ordine, dovrà curare la qualità del servizio, anche preservando il prodotto da ogni incidente, e dovrà garantire la tempestività della consegna.

 

Qual è stato sin ora l’inquadramento contrattuale? Quali sono le novità?

 

Dunque, fino ad ora, se il rider accettava la consegna e la portava a termine, percepiva il proprio compenso, altrimenti no.

 

Ebbene, proprio la possibilità di organizzare il proprio lavoro e, in particolare, la possibilità di rifiutare la prestazione, sono state sino ad oggi l’appiglio utilizzato dalle aziende di delivery per contrattualizzare i riders come dei lavoratori autonomi pagati a cottimo, rendendo a loro inapplicabili le tutele garantite ai lavoratori subordinati.

 

Numerose sono state le iniziative volte a contrastare sia la bassa retribuzione di questi lavoratori che l’assenza di diritti e tutele nelle tipologie contrattuali ad essi applicati.

 

A Firenze il primo contratto nazionale.

 

A dare il via al riconoscimento di maggiori tutele per i riders è stata la città di Firenze dove la Filt, Fit e Uiltrasporti hanno firmato un accordo con la piattaforma di food delivery “Laconsegna”, nel quale è stato riconosciuto ai fattorini:

  • la natura di lavoro subordinato;
  • l’applicazione del contratto nazionale della logistica con tutti i diritti e le tutele che esso attribuisce ai lavoratori del settore;
  • la garanzia di una retribuzione mensile e del pagamento delle ore effettivamente lavorate.

Inoltre, nell’accordo è stato stabilito che il rischio d’impresa, legato alla vendita dei prodotti e alle conseguenti consegne, non sia più a carico dei lavoratori, ma dell’impresa di delivery.

 

Le recenti sentenze della Corte d’Appello di Torino e della Corte di Cassazione: riconoscimento del diritto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato per i riders

 

Il caso FOODORA.

 

Ulteriore passo verso il riconoscimento di maggiori tutele per i riders, è stato compiuto con una recente sentenza della Corte d’Appello di Torino, confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza pubblicata lo scorso 24 gennaio 2020 (Cass. Lav. n. 1663/2020).

 

Leggi la Sentenza sul sito della Corte di Cassazione

 

Nel caso Foodora, oggetto delle sentenze citate, la Corte d’Appello ha infatti qualificato i rapporti lavorativi dei riders come delle “collaborazioni etero-organizzate” alle quali va applicata la disciplina del lavoro subordinato.

 

Quanto sopra ai sensi della normativa sul Job Act (Art. 2, comma 1), secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro subordinato va applicata anche ai rapporti di collaborazione che si realizzano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali e continuative eseguite con modalità organizzate dal committente.

 

Spiegano i giudici:

 

“Quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.

Aggiungono gli Ermellini:

 

Si tratta di una scelta politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato  in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di ‘debolezza’ economica, operanti in una ‘zona grigia’ tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea”.

 

L’intervento del Legislatore.

 

Preso atto dell’esigenza non più procrastinabile di regolarizzare la materia, è da ultimo intervenuto il Legislatore approvando la LEGGE n. 128/2019 di conversione del DL 101/2019, recante “disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, che prevede per i riders:

 

  • una retribuzione composita, costituita solo in minima parte dal cottimo e per la parte maggior parte corrisposta su base oraria, parametrata sui compensi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti;
  • il diritto alla copertura assicurativa Inail contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali;
  • la garanzia della sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro;
  • il diritto alle informazioni utili circa la tutela dei loro interessi e dei loro diritti.

 

La disciplina si applica a tutti coloro che svolgono consegne su due ruote, biciclette e motocicli.

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AFFIDAMENTO ESCLUSIVO: rileva la condotta passata del genitore che abbia violato i propri doveri genitoriali

In caso di separazione o divorzio, la valutazione dell’interesse morale e materiale del minore non può prescindere dalla condotta passata dei genitori; valutazione che deve essere compiuta dal giudice di merito e che non è sindacabile in sede di legittimità.

Il giudizio prognostico del giudice di merito deve tenere conto della capacità del padre o della madre di educare e crescere il figlio,

 

con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore

 

privilegiando

 

“quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore”.

 

Con l’ordinanza n. 28244/2019 la Corte di Cassazione rileva pertanto la correttezza della decisione della Corte d’Appello impugnata, in quanto pienamente conforme al principio di tutela del primario ed esclusivo interesse morale e materiale dei minori.

 

Infatti, nel caso in esame, il padre aveva dimostrato di non essere interessato alla vita delle figlie, essendosi trasferito in una regione diversa senza avere più provveduto al loro mantenimento e non avendo partecipato alle loro scelte di vita.

 

La circostanza che il padre abbia trascurato tutti i suoi doveri genitoriali, non partecipando – né materialmente, né moralmente – alla vita delle figlie, ha comportato la decisione del giudice di disporre l’affidamento esclusivo delle minori alla madre.